"C'è un delizioso racconto di Dino Buzzati intitolato "Il crollo della
Baliverna".
In uno stracco pomeriggio di sabato un ometto qualunque,
un sarto, e suo cognato fanno un a gita in campagna, in un luogo dove sorge, isolato, un mastodontico e possente edificio, anche se a guardarlo con attenzione, parecchio diroccato, la Baliverna appunto.
Il cognato, che ha passioni da entomologo, si ferma nei prati circostanti per osservare gli insetti.
Il sarto gironzola un po' intorno all'edificio poi, notando che ha parecchie sporgenze, gli salta in testa di arrampicarvisi sopra. Non che intenda arrivare fino in cima all'immenso e altissimo edificio: vuole solo sgranchirsi le gambe.
Sale quindi, ma arrivato all'altezza di due metri un 'asta di ferro cui si era attaccato cede, e lui capitombola a terra con essa.
L'asta sosteneva però un 'ampia mensola che a sua volta reggeva alcuni mattoni che ruzzolano giù. Nel muro si apre una crepa.
Insomma, per farvela breve, "per una mostruosa concatenazione di cause ed
effetti", in pochi minuti l'intero edificio collassa al suolo.
L'improvviso crollo di ascolti del mastodontico Festival di Sanremo
potrebbe essere il crollo della Baliverna e portare, in una serie di
concatenazioni, alla fine di un regime politico che sembrava
indistruttibile. La gente comincia ad averne la tasche piene della
Televisione, della sua ossessiva ripetitività.
Del suo pensiero unico mascherato da dibattito, del suo continuo ossequio a un a classe politica pletorica e perenne.
E la Tv generalista, Rai + Mediaset, è il perno di questo regime come quell'apparentemente innocua asta di ferro lo era della Baliverna.
L'eterno mascherone di Baudo, che si accorge che "l'Italia è di merda" perchè non lo ascolta più, mentre, per la sua parte ne è stato un o dei protagonisti, equivale agli
eterni mascheroni di Berlusconi, di Veltroni, di Fini, di Bertinotti,
di Casini che adesso si affannano a cambiare sigle e schieramenti
perché intuiscono, sia pur ancora vagamente, che l'Italia non li segue più.
Il faraonico e inutile Festival di Sanremo fa il paio col faraonico e inutile cicaleccio dei nostri politici che si spalma sui talk show, su "Radio anch'io" e su tutte le altre trasmissioni in cui sono onnipresenti, coi soliti discorsi, con le solite vetuste idee (si fa per dire), con le solite promesse che ascoltiamo da decenni.
Come, da anni, non c'è ragazzo che compri un disco uscito dal Festival di Sanremo, così da anni sono pochissimi gli italiani per i quali i nostri uomini politici, di sinistra o di destra, abbiano un qualche appeal.
Un a recente indagine Eurispes documenta che solo il 14% dei cittadini (compresi quindi gli uomini degli apparati, i protetti, i favoriti, i famuli, le troiette di regime) ha fiducia nei partiti.
Altro che "popolo della sinistra" o "popolo della destra". Quattro gatti, i più direttamente interessati.
Dopo il tracollo del Festival, Vittorio Feltri, cui tutto si può
negare tranne l'intuitaccio giornalistico, ha sparato un a bordata
pesantissima contro la Casta, ricomprendendovi anche Berlusconi di cui
è stato servitore fedele, anche se intelligente, per anni.
Scrive che gli italiani sono cambiati, maturati, diventati adulti e come non
sopportano più le banalità del Festival di Sanremo non sopportano più
le banalità della Casta. Non credo si tratti di maturazione.
È che, come dicono in Toscana, "il bisognino fa trottar la vecchia".
La crisi economica costringe la gente a porsi delle domande che vanno oltre
l'economico, a chiedersi che cosa rappresenti realmente la nostra classe politica, che cosa sia realmente la democrazia in cui viviamo,
che senso abbia, e di che lacrime grondi e di che sangue, il modello
di sviluppo di cui i nostri reggitori, nazionali e internazionali,
sono sponsor.
Certo per innocuizzare il Festival di Sanremo basta spegnere il telecomando.
Mentre noi siamo costretti ogni tot anni ad andare a scegliere, con le elezioni, da quale oligarchia preferiamo essere schiacciati, prevaricati, umiliati, offesi, presi in giro.
Ma in fondo, un telecomando c'è anche qui.
Basta non andare a legittimarli col voto.
Lasciamoli soli. Con i loro Festival."
articolo di Massimo Fini (giornalista, scrittore, drammaturgo, attore)
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