Autismo: l’importanza della precocità di un intervento terapeutico riabilitativo
La precocità di un intervento terapeutico riabilitativo in un bambino autistico è di enorme importanza, ma oggi, su questo punto, possiamo solo constatare la perseverante ignoranza di molti operatori del settore che ancora non hanno ben presente la differenza fondamentale che esiste tra i risultati ottenibili con un intervento precoce e tempestivo e quelli derivanti da una presa in carico riabilitativa ritardata perché differita nel tempo.
In riabilitazione non esiste il “troppo presto”, purtroppo, spesso, c’è ancora il “troppo tardi”.
Partiamo da questa breve frase per cercare di capire che cosa di assurdo e dannoso accade ancora in Italia nella gestione terapeutica abilitativa dell’handicap (e chiamiamolo con il suo vero nome, senza penose perifrasi).
Nella maggior parte dei casi, chi si rivolge con un bambino di pochi anni di età agli operatori (che sarebbe più consono definire “burocrati” delle ASL) preposti all’erogazione delle sedute di riabilitazione, si sente rispondere che è ancora “presto” per avviare un trattamento logopedico e che il bambino deve prima maturare determinate capacità attentive, cognitive, relazionali…
Non a caso non ho specificato con quale tipo di patologia viene avanzata una richiesta di logopedia poi disattesa da chi dovrebbe invece accoglierla. Non l’ho specificato perché la necessità di un intervento tempestivo, direi anche immediato, vale per tutte le situazioni in cui è richiesto un trattamento abilitativo. È comprensibile poi che tale necessità diventi ancora più pressante se si parla di sordità profonda, di autismo, di paralisi cerebrale.
La situazione di mancata tempestiva erogazione di trattamenti precoci viene poi ulteriormente aggravata dall’ignoranza in materia di numerosi appartenenti ad altre categorie professionali, primi tra i quali, i pediatri, di cui molti sono i primi a non sapere quanto sia importante agire al più presto per ottenere risultati determinanti per il recupero di un handicap.
Alla base di queste gravi mancanze io vedo la disinformazione, la presunzione (strettamente collegata all’ignoranza), la mancanza di volontà di studiare, aggiornarsi e mettersi costantemente in discussione.
Basterebbe che i pediatri di base, i burocrati delle ASL, gli operatori stessi della riabilitazione (che in certi casi fanno nascere il sospetto che siano lì solo per attendere lo stipendio di fine mese) si documentassero su quali sono tutti i campi di azione della logopedia e su quali brillanti risultati si possono ottenere lavorando precocemente, intensamente e in modo competente su qualsiasi tipo di handicap, per veder cambiare significativamente le possibilità di recupero di tanti bambini.
L’assurdo è che al giorno d’oggi molti preferiscono ancora negare l’esistenza di clamorosi recuperi nel campo dell’autismo e delle paralisi cerebrali, definendo visionari e bugiardi quelli che li ottengono e lo rendono noto, piuttosto che guardarsi intorno e constatare ciò che invece è possibile ottenere operando tempestivamente, alacremente e con professionalità. Ma tutto ciò è scomodo.
Scomodo per qualche burocrata o anche per qualche medico che dovrebbe alzarsi dalle sua poltrona, uscire dall’ufficio e andare a toccare con mano i successi di chi lavora applicando i criteri di tempestività e competenza; scomodo addirittura per qualche logopedista o per altri terapisti che sembrano avere come obiettivo unico il suddetto stipendio fisso e non la qualità del lavoro, il cui incremento comporterebbe anche un aumento di impegno, di sforzi, nonché di aggiornamento. Certamente è più facile trattare il bambino con qualche difetto di pronuncia, o con ritardo al quale non sono state date speranze, piuttosto che rimboccarsi le maniche su una paralisi cerebrale o su un autismo, specie su uno aggravato anche da comportamenti aggressivi…
Per quanto riguarda l’ignoranza su ciò che realmente può essere trattato con la logopedia (ignoranza che comunque non è mai giustificabile), va detto che ancora oggi la logopedia viene vista (o la si vuole vedere) soltanto come una possibilità di correzione di un linguaggio già esistente e preferibilmente da realizzare in un bambino che sia tranquillo e collaborante. Questo è l’errore più diffuso anche tra gli stessi logopedisti; errore che preclude i maggiori e più importanti recuperi nell’ambito delle patologie più impegnative.
La logopedia non è dunque soltanto un aggiustamento di forme espressive già esistenti!
Un intervento foniatrico-logopedico, correttamente inteso e realizzato, comprende una presa in carico globale di un individuo con problemi di comunicazione, laddove con questo termine intendiamo una serie di inadeguatezze riguardanti uno o più di uno tra i livelli percettivo, cognitivo, comportamentale, motorio-espressivo.
Una presa in carico precoce, direi immediata, di un bambino danneggiato in una o più aree di quelle citate, può sortire effetti sorprendentemente brillanti.
Una funzione percettiva, cognitiva, motoria … che è stata lesa, alterata, interrotta, ha tante maggiori speranze e possibilità di essere recuperata, quanto più presto, più intensamente e più adeguatamente si interviene per riattivarla e farla rifunzionare nella giusta direzione e nelle corrette modalità.
Questo è un principio fondamentale di ogni forma di riabilitazione, purtroppo ancora disatteso e tradito da tanti operatori del settore, che allora si comportano in modo indegno del loro ruolo.
Infine, vorrei dare una nota di speranza anche per i soggetti di età più avanzata, a loro volta vittime di un luogo comune secondo il quale, oltre un certo numero di anni, non è più il caso di intervenire perché non ci sono possibilità di recupero (tra l’altro, quando il bambino è piccolo non si interviene perché si dice che “è troppo presto” per cominciare la logopedia e quando è più cresciuto questa terapia gli viene rifiutata perché si dice che “è troppo tardi”…).
Nell’ultimo decennio, infrangendo questo diffuso atteggiamento non interventista, il nostro Gruppo ha aperto le porte della logopedia anche a pazienti di età adolescenziale e adulta, con esiti di paralisi cerebrale e sindromi autistiche. La piacevole sorpresa è stata quella di constatare che, pur non raggiungendo gli stessi brillanti risultati ottenibili con interventi realizzati su bambini di pochi anni di vita, tuttavia nei più cresciuti si riusciva comunque ad attivare funzioni (in alcuni casi anche quella linguistica) che solitamente si davano per irrecuperabili.
Sarebbe dunque auspicabile un più equilibrato atteggiamento prognostico ed interventista da parte di chi opera nella riabilitazione, assumendo una posizione che, lungi dall’essere trionfalmente eccessivamente ottimistica, sia tuttavia più aderente ad una realtà arricchitasi della constatazione di brillanti successi raggiunti da chi, abbandonando atteggiamenti rinunciatari e sedentari, si è rimboccato le maniche dimostrando che lavorando tanto, presto e bene, si possono ottenere risultati che molti ritengono ancora impossibili.
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