In materia
previdenziale - assistenziale (e le provvidenze ex lege
210/1992 vi rientrano a pieno titolo), un coefficiente di ragionevole
probabilità, se non contraddetto da altre risultanze
processuali, è sufficiente a provare il nesso causale.
Una differente
interpretazione, tendente ad esempio ad individuare specifiche
responsabilità mediche o farmacologiche nella causazione della
patologia contrasterebbe sia con la ratio che con la lettera
stessa della Legge de quo che, ribadiamo, trattasi di norma di
natura previdenziale assistenziale e non risarcitoria, oltre che con
le più recenti evidenze scientificostrumentali afferenti alla
questione in esame.
Tale principio è
stato affermato in diverse decisioni della S.C.
Così proprio in tema d’indennizzo previsto “…. a favore di coloro che presentano danni irreversibili derivanti da epatiti post trasfusionali, dall’articolo 1 comma terzo della legge 25/2/1992 n. 210, ovvero, in causa di morte del danneggiato, in favore dei soggetti indicati dall’articolo 2 comma terzo della stessa legge, la prova a carico dell’interessato ha ad oggetto, a seconda dei casi, l’effettuazione della terapia trasfusionale, il verificarsi dei danni anzidetti o della morte, ed il nesso causale tra i primi e la seconda, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità …” (Cass. sezione lavoro sentenza del 17/1/2005 n. 753).
Così proprio in tema d’indennizzo previsto “…. a favore di coloro che presentano danni irreversibili derivanti da epatiti post trasfusionali, dall’articolo 1 comma terzo della legge 25/2/1992 n. 210, ovvero, in causa di morte del danneggiato, in favore dei soggetti indicati dall’articolo 2 comma terzo della stessa legge, la prova a carico dell’interessato ha ad oggetto, a seconda dei casi, l’effettuazione della terapia trasfusionale, il verificarsi dei danni anzidetti o della morte, ed il nesso causale tra i primi e la seconda, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità …” (Cass. sezione lavoro sentenza del 17/1/2005 n. 753).
In senso analogo
Cass. Sezione lavoro sentenza del 21/6/2006 n. 14308, secondo cui “In
tema di malattia
professionale derivante da
lavorazione non tabellata
la prova della derivazione
della malattia da causa
di lavoro grava sul
lavoratore e deve essere
valutata in termini di
ragionevole certezza, nel
senso che, esclusa la
rilevanza della mera
possibilità dell’origine
professionale, questa può
essere invece ravvisata in
presenza di un elevato
grado di probabilità”
In senso del tutto
analogo, sempre in tema di malattie professionali, vedi fra le altre,
Cass. Sezione lavoro sentenza del 25/10/2005 n. 20665, Cass. Sezione
lavoro sentenza dell’11/6/2004 n. 1128, particolarmente
significativa Cass. Sentenza del 26/5/2006 n. 12559 secondo cui le
conclusioni probabilistiche possono desumersi da dati epidemiologici.
Alla stregua dei
principi esposti il nesso eziologico, la cui sussistenza costituisce
il nodo della presente controversia, deve ritenersi adeguatamente
provato sulla base di elementi che fondino una valutazione di
ragionevole probabilità.
Gli esami
diagnostici comunemente utilizzati per la diagnosi dell'autismo da
vaccino, ad esempio, dimostrano per tabulas
l’esistenza di un nesso di causalità tra la patologia
contratta dal bimbo danneggiato e la profilassi vaccinale seguita
nell'infanzia, dovuta ad una severa reazione immunoallergotossica
(adiuvanti, stabilizzanti, conservanti, principi attivi dei vaccini)
da quest'ultima provocata.
Segnatamente, è
necessario dimostrare che la malattia
é insorta successivamente
alla somministrazione dei
vaccini (positività del
criterio cronologico),
si é manifestata come
conseguenza di un unico
danno localizzato (positività
del criterio
topografico), le cui
successive e gravi
manifestazioni sono giustificabili
dalla funzione mediatrice
dell'encefalo (positività
del criterio
di efficienza)
in un rapporto di
causa – effetto che
soddisfa anche il
cosiddetto criterio di
continuità fenomenica.
Inoltre
non deve considerarsi sussistente
nel caso di specie
ogni patologia legata alla
vita fetale, familiari-genetiche,
della nutrizione, metaboliche,
neurologiche o neuropsichiatriche,
infettive o settiche,
fisiche, ormonali o
diverse, rilevabili da
esami di laboratorio
eseguiti sia su campione
ematico che urinario
(positività del
criterio di
esclusione).
Già con le sentenze
21.4.1977 n.1476 e 13.5.1982 n.3013, e poi di recente con la sent.
21/01/02 n° 632 la Cassazione ha avuto occasione di puntualizzare
come l'individuazione del rapporto di causalità che attiene ad un
evento lesivo collegato all'esecuzione di terapie mediche o di
interventi chirurgici deve essere effettuata, non solo con criteri
giuridici, ma anche tenendo conto delle nozioni della patologia
medica e della medicina legale, per cui la possibilità teorica di un
margine inevitabile di relatività non può, di per sé sola
invalidare un accertamento basato sulla corrispondenza di alcune
affezioni a un determinato meccanismo causale, in assenza di
qualsiasi altra causa patogena.
Inoltre si deve
tener conto del fatto che in campo biopatologico, è estremamente
difficile raggiungere un grado di certezza assoluta e, pertanto, la
sussistenza del nesso causale fra un determinato antecedente e
l'evento dannoso ben può essere affermata in base ad un serio e
ragionevole criterio di probabilità scientifica, soprattutto quando
manca la prova della preesistenza della concomitanza o della
sopravvenienza di altri fattori determinanti.
E' di esperienza
comune come nella realtà medica non accade quasi mai che intervenga
un'unica causa nella determinazione di una patologia, accade molto
più spesso che il danno sia provocato dal verificarsi di una serie
di concause, in altre parole nella eziologia delle malattie i fattori
sono spesso plurimi.
Questo indirizzo
interpretativo ha avuto due precedenti giudiziari anche in Lombardia,
con la Sentenza definitiva del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro n°
4252 del 2007 e del Tribunale di Busto Arsizio, Sezione Lavoro n°
413 del 2009, quest'ultima confermata in Appello con Sentenza n° 387
del 2012.
Nella Sentenza di
Busto Arsizio, in particolare, il Giudice ha ritenuto che sia
sufficiente a provare la sussistenza del nesso eziologico una
"ragionevole probabilità",
unitamente alla mancanza di prova, da parte del C.T.U., di altre
(con)cause determinanti.
La perizia di parte,
redatta dal Dottor Massimo Montinari, aveva analizzato la storia
clinica di una bimba affetta da cerebropatia con tratti autistici
subito dopo le vaccinazioni obbligatorie e, sulla scorta della
connessione logica dei dati e delle conoscenze medicobiologiche più
recenti, aveva elaborato un giudizio, (di probabilità), in favore
della sussistenza del nesso causale fra l'infermità e le
vaccinazioni somministratele e le seguenti reazioni
allergoimmunologiche post-vaccinali.
Tale giudizio
diagnostico è stato ritenuto condivisibile in quanto congruamente
motivato e sopportato da una letteratura scientifica, unitamente alla
mancanza di prova, da parte del C.T.U., di altre (con)cause
determinanti.
le conclusioni
medico legali a cui perviene l'Amministrazione sanitaria nel corso
della istruttoria amministrativa della Legge 210 del 1992 spesso non
sono condivisibili, perché non superano le gravi critiche che muove
loro l'indirizzo giurispridenziale prevalente nei Tribunali italiani.
I profili di
criticità sui quali è opportuno che si pronunci il Giudice, in
luogo del Ministero o della ASL, sono i seguenti:
- Sotto il profilo del modus procedendi va segnalata la mancata applicazione, da parte della Amministrazione sanitaria, del c.d. “principio dell’equivalenza delle condizioni”, in forza del quale la concausa è causa per intero dell’evento anche se sono presenti altre concause. In altre parole, a fronte di una menomazione dell’integrità psico-fisica in ipotesi potenzialmente derivante da una pluralità di cause, aventi tutte natura efficiente e causale, deve necessariamente trovare applicazione il principio espresso dall’art. 41 c.p. in tema di equivalenza causale, in base al quale «il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra l’azione, l’omissione e l’evento». In applicazione della teoria della par condicio causale, pertanto, qualsiasi atto o fatto che si ponga come precedente o concomitante o sopravveniente nella verificazione della sequela di accadimenti concludentesi poi con la produzione dell’evento (la menomazione dell’integrità psico-fisica), deve ritenersi concausa, in senso giuridico, dello stesso.
- Conformemente alla suddetta teoria, pertanto, il nesso causale non può essere sic et simpliciter escluso, ad esempio, dall’eventuale predisposizione genetica del danneggiato e/o dal concorso di altre cause, aventi eventualmente origine anche non vaccinale. Ciò che conta è che si sia verificato anche uno soltanto degli antecedenti necessari dell’evento.
- Pertanto, una volta chiarito che, in linea generale, alle vaccinazioni praticate al bambino avrebbero potuto conseguire i danni poi dallo stesso in effetti riportati (danni peraltro già accertati nel corso del procedimento amministrativo) avrebbe dovuto riconoscersi, nei già indicati termini probabilistici, la sussistenza del nesso causale salvo che fosse sopravvenuta (ma non è questo il caso) una causa, cronologicamente “intermedia” tra il trattamento vaccinale e la menomazione poi riportata.
Seguendo queste linee guida è possibile ottenere una sentenza di riconoscimento del nesso causale intercorrente fra una qualsiasi patologia ascrivibile alle tabelle della legge 210 del 1992 e le vaccinazioni praticate nell'infanzia, sia obbligatorie che facoltative, compresa la c.d. encefalopatia con tratti autistici, correlabile alle vaccinazioni pediatriche.
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