Il silenzio
rigetto: una prognosi infausta dal sapore antisociale che fa riflettere…
I nostri più assidui lettori
conoscono bene la Legge 210 del 1992, che è stata posta dal Legislatore allo
scopo di riconoscere il danno da trattamento sanitario obbligatorio per
disposizione di legge nei confronti dei diretti danneggiati o dei superstiti di
vaccinazioni obbligatorie o raccomandate (dal 2012, cfr. Sentenza della Corte
Costituzionale n° 107 di tale anno), oltre che da somministrazione di
emoderivati infetti e di Talidomide.
Tale norma ha rappresentato una
conquista sociale di grande rilievo, in quanto ha consentito al nostro Paese,
fra i primi al mondo, di garantire una tutela effettiva alle sempre più
numerose vittime della sanità pubblica, che in modo sia pure non intenzionale
ha leso un diritto fondamentale, e che rappresenta la traduzione normativa del
combinato disposto degli articoli della Costituzione 2, 3 e 32.
Una serie di circostanze,
nell’ultimo decennio, ha spinto il Ministero della Salute, organo deputato alla
attuazione della volontà del Parlamento, ad operare quantomeno una stretta
nella sua applicazione, vanificando in tale modo lo spirito e l’effettività
della tutela della legge 210 del 1992.
Riportiamo in un elenco
puntuale gli elementi di fatto che motivano, sostanziandola, la precedente mia
asserzione:
1) aumento
degli indennizzi per i danneggiati da vaccino operato con Legge 229 del 2005,
effettuato senza una adeguata valutazione della base numerica degli aventi
diritto (furono ed in parte ancora sono esclusi dal beneficio, dopo dieci anni,
alcuni danneggiati che erano stati riconosciuti con sentenza del Giudice in
luogo del preventivo procedimento amministrativo);
2)
inadeguatezza degli accantonamenti a copertura della norma del 2005;
3) aumento
esponenziale del dato statistico di reazione avversa di nuove patologie,
afferenti al vaccino, supportate da cospicui studi scientifici internazionali
ancora non adeguatamente considerati dalla Amministrazione sanitaria pubblica;
4)
vanificazione della funzione della procedura amministrativa di primo livello
(visita medica presso la C.M.O.), attraverso la mancata selezione di personale
medico competente nella materia;
5) aumento
del contenzioso giudiziario, non adeguatamente filtrato con l’esercizio
efficace (in senso tecnico, non ideologico) della azione amministrativa di
primo e secondo livello.
Se quanto riferito sino ad ora
non bastasse per dipingere un quadro a tinte fosche sullo “stato di salute”
della Legge 210 del 1992 dobbiamo aggiungere la notizia di una improvvida
riforma del procedimento amministrativo di accertamento del nesso causale e
della tempestività della domanda, operata dal D.P.R. 151 del 31 Luglio 2014
sulla durata e la natura della decorrenza dei termini di esame del ricorso
gerarchico (secondo grado amministrativo).
Viene infatti introdotto,
mutuandolo dalla tradizione di diritto amministrativo “canonico”, l’istituto
del silenzio rigetto, che palesa il diniego della prestazione previdenziale
richiesta dopo soli 90 giorni dalla presentazione del ricorso amministrativo.
Risulta molto difficile
comprendere la congruità ed opportunità, in campo previdenziale, di uno
strumento tipicamente destinato alla burocrazia statale per pratiche non
attinenti alla tutela di diritti personalissimi quale quello della salute, per
giunta compresso nel suo esercizio dai precedenti (D.M. del Ministero della
Salute n° 514 del 18 Novembre 1998) 390 giorni agli attuali 90, che
rappresentano la metà del termine ordinario per i giudizi in materia
previdenziale contro i provvedimenti dell’ INPS!
In forza di tale regolamento di
attuazione il Ministero della Salute, sistematicamente dal 2014, ha invertito
la prassi statistica di dare anche una semplice risposta, sia essa positiva o
negativa poco importa, in nove casi su dieci, forte del suo diritto ad
esprimere una prognosi infausta alla malcapitata famiglia di turno, allo
scadere di una clessidra invisibile...
Se le esigenze di bilancio
sembrano motivare la sistematica frustrazione delle legittime istanze di tutela
dei danneggiati, come appare dai fatti, si impone una drastica riforma della
legge, ed è bene che il Parlamento intervenga subito, riformando una norma che
di fatto non viene più applicata correttamente, da dieci anni a questa parte.
Ulteriore prova di quanto ho
appena affermato è data dalla risposta alla interrogazione della Camera dei
Deputati presentata dall’On. Di Vita e protocollata al numero 5-06757 fornita
dal Ministero della Salute in data 15 Dicembre 2015: i danneggiati da vaccino
riconosciuti ed indennizzati sono 620, esattamente gli stessi del 2005!
Auspico che la riforma si
ispiri alla garanzia del diritto da parte dei danneggiati di accedere senza spese aggiuntive alle
migliori e più efficaci cure, che oggi, per ancora troppe patologie, restano
appannaggio dei professionisti privati, i quali stentano ad avere un accreditamento
da parte del servizio sanitario pubblico.
In tale modo si potrà venire
anche incontro alle esigenze di riduzione della spesa pubblica attraverso la soppressione o riduzione dell'indennizzo mensile, fermo restando
che, anche in materia di sanità, la lotta agli sprechi, alle malversazioni ed
alla corruzione dovrebbe essere considerata una priorità ineludibile da parte
del nostro Ministero…
Ognuno e ciascuno di noi
faccia la sua parte, per il bene di questo Paese!
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