05 febbraio 2019

Economia della Cina: principali indicatori economici, settori economici, commercio, investimenti, rapporti con l’Italia





L’economia cinese sembra, oggi, destinata a divenire la prima economia mondiale. La Cina, negli ultimi trenta anni, ha vissuto un boom economico senza precedenti che ha permesso al Paese non solo di aumentare il benessere economico di milioni di cittadini cinesi ma di divenire un impresindibile interlocutore economico mondiale, sia nell’economia mondiale che nella costante evoluzione dell’assetto geopolitico mondiale.

Prodotto Interno Lordo: 15.543.705 milioni di Dollari (USD)
Tasso di crescita economica: +6.6 %
Inflazione: 2,00% 
Disoccupazione: 4,1%
Popolazione Totale: 1.403.500.365
Popolazione Lavorativa: 705.860.000 (stima) 
Tassazione: Imprese 25% - Individuali dal 5% al 45%
Debito Estero: 1.562.800 milioni di Dollari (USD)

L’ultimo congresso del Partito Comunista Cinese ha rappresentato per l’attuale Presidente Xi Jinping non solo un’occasione per rafforzare la propria leadership all’interno del Partito, ma anche un eccezionale veicolo per comunicare alle altre potenze mondiali l’obiettivo di portare la Cina al centro delle trame politiche ed economiche globali. Progetti imponenti quali lo “One Belt One Road”, hanno infatti il dichiarato obiettivo di fare della Cina il punto di riferimento per le rotte commerciali terrestri e marittime e di controllare i principali snodi commerciali. Negli ultimi trenta anni l’economia cinese ha vissuto un vero e proprio boom economico, che ha permesso al Paese di diventare la seconda economia mondiale, di aumentare il benessere economico e di far uscire dalla povertà milioni di cittadini. L’apertura verso l’estero e le riforme economiche e sociali intraprese a partire dalla fine degli anni ’70 hanno innescato un percorso di crescita costante e con tassi a doppia cifra: nel 2016 il prodotto interno lordo cinese si è attestato sui 11.200 miliardi di USD, secondo solamente a quello degli Stati Uniti e superiore a quello di Giappone e Germania. Le riforme economiche promosse da Deng Xiaoping hanno quindi trasformato un Paese con una forte componente agricola nel centro manifatturiero del mondo. Lo sviluppo industriale ha successivamente innescato la crescita del settore dei servizi, tanto che dal 2013 il settore terziario è diventato il principale contribuente al PIL cinese. Nel 2016 il settore terziario ha rappresentato circa il 51% del PIL, mentre il settore secondario e primario contribuiscono rispettivamente per il 40% e il 9%.

La Cina ha affrontato la crisi economica globale del 2008-2009 attraverso un pacchetto di incentivi e stimoli economici volti a promuovere importanti progetti di investimento in infrastrutture e in industrie ad elevata intensità di capitale, e questo ha permesso di ridurre gli effetti negativi che hanno colpito gli altri Paesi. Nel 2009, l’anno in cui la crisi globale ha colpito più duramente, la Cina ha infatti conseguito una crescita del PIL pari al 9,2%, mentre le altre principali potenze economiche hanno subito una importante contrazione.

La crescita, stimolata a livello centrale, ha tuttavia destato qualche preoccupazione in diversi analisti, che hanno evidenziato potenziali rischi di bolla finanziaria e overcapacity degli stabilimenti produttivi nei settori industriali in cui si concentrano le società a controllo statale. Dal punto di vista del commercio estero, la Cina ha un significativo surplus della bilancia commerciale: in quanto principale hub manifatturiero, la Cina è infatti il principale paese esportatore al mondo, con un valore dell’export superiore a 2.000 miliardi di USD nel 2016, mentre le importazioni si sono assestate sui 1.500 miliardi di USD.

L’ingresso nel WTO nel 2001 ha giovato enormemente alla Cina, in quanto ha permesso al Paese di incrementare in maniera significativa gli scambi con l’estero: il valore nominale delle esportazioni nei 15 anni successivi all’ingresso nella WTO è cresciuto ad un tasso annuo medio composto che supera il 14%, mentre le importazioni hanno registrato, nello stesso periodo, una crescita annua media composta del 13%. Questi dati evidenziano lo stretto legame che la Cina ha instaurato con i propri partner commerciali e di come il Paese abbia utilizzato la leva commerciale per finalità politiche e strategiche: nell’ultimo decennio tale strategia ha permesso alla Cina di diventare il principale partner commerciale della maggior parte dei Paesi africani e di poter instaurare nell’area la propria influenza. Con la finalità di sviluppare ulteriormente gli scambi commerciali, la Cina ha siglato nel corso di anni una moltitudine di accordi commerciali bilaterali e multilaterali, che hanno aperto nuovi mercati in termini di prodotti. Nel 2003, la Cina ha firmato il Closer Economic Partnership Arrangement con Hong Kong e Macao, mentre diversi Free Trade Agreement (FTA) sono stati firmati con i Paesi dell’ASEAN, Australia, Cile, Costa Rica, Corea, Peru, Nuova Zelanda e Singapore.

La Cina presenta due vantaggi specifici che possono incentivare società e imprenditori stranieri a investire in loco:

è il centro manifatturiero per eccellenza;
è il primo mercato per quanto riguarda il numero potenziale di consumatori.

Il Governo cinese promuove e incoraggia investimenti stranieri nei settori caratterizzati da elevata innovazione e con un basso impatto a livello ambientale e sociale. Tra i settori più stimolati vi sono:
  
prodotti ad elevata tecnologia;
attrezzature e macchinari industriali ad alto grado di innovazione e energie rinnovabili
Settore finanziario, bancario e assicurativo

Nel mese di novembre 2017 è stata inoltre introdotta una novità relativa agli investimenti stranieri nel settore finanziario e assicurativo, che rimuove i precedenti limiti alle partecipazioni straniere in società di intermediazione finanziaria, banche, società di gestone titoli e in quelle di assicurazione.

Incentivi fiscali

Sono previsti incentivi a livello fiscale ed aliquote d’imposta agevolate per le iniziative imprenditoriali nelle regioni interne e occidentali della Cina, al fine di promuovere e stimolare l’economia di tali aree che hanno beneficiato del boom economico cinese in misura minore rispetto alle aree costiere. Le aliquote agevolate sono inoltre previste per le società innovative e con una forte componente tecnologica, che vengono riconosciute con un’apposita licenza che certifica il loro status di high tech enterprise.

Export

La Cina è il primo Paese per valore delle esportazioni, davanti a Stati Uniti, Germania e Giappone. Nel 2016 il valore totale delle esportazioni è stato pari a 2.100 miliardi di USD. I principali mercati di sbocco della produzione cinese sono stati gli Stati Uniti, i quali hanno rappresentato circa il 18,4% del totale delle esportazioni. A seguire Hong Kong (con circa il 13,7% delle esportazioni totali) e Giappone (6,2%). I primi dieci mercati di sbocco per le esportazioni cinesi hanno costituito insieme il 59% del totale delle esportazioni cinesi del 2016.
I prodotti cinesi esportati sono principalmente legati al settore elettronico e manifatturiero. Nello specifico i maggiori prodotti esportati sono computer (6,6%), apparecchiature per la trasmissione dati (5,6%), telefonia (4,1%) e circuiti integrati (2,7%).

Import

Il valore delle importazioni cinesi nel 2016 è stato pari a 1.580 miliardi di USD. I principali partner sono Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti, con quote pari rispettivamente a 10%, 9,2% e 8,5%. La quota aggregata dei primi dieci è pari al 56%; tale dato evidenzia una elevata diversificazione dell’origine dei prodotti importati in Cina e sottolinea come molti Paesi stiano cercando di entrare in uno dei principali mercati a livello globale. I prodotti importati sono principalmente legati al settore elettronico, a quello petrolifero, della plastica, dei metalli preziosi e dei materiali chimici. In particolare le importazioni di circuiti integrati rappresentano il 9,7% del totale, seguiti da petrolio (8,8%), oro (4,7%), minerali (4,4%) e automobili (3,3%). 

Investimenti esteri

Il governo cinese ha incentivato gli investimenti diretti esteri (FDI foreign direct investments) sin dall’apertura ai capitali stranieri verso la fine degli anni ’70, in quanto sono stati uno strumento eccezionale per promuovere la crescita e l’innovazione tecnologica. A differenza dei propri vicini come Giappone, Corea del Sud e Taiwan, la Cina non ha potuto usufruire del supporto tecnologico fornito dagli Stati Uniti e, di conseguenza, ha adottato un proprio modello creando un ambiente molto favorevole agli investimenti stranieri: in tal modo nel Paese sono convogliati non solo ingenti capitali, ma anche tecnologia, know how e il management necessario per condurre la Cina alla costruzione di un sistema economico in grado di competere con i vicini asiatici e a livello globale.  Il flusso di FDI confluiti in Cina è aumentato costantemente; tra gli anni 2001 e 2003 la Cina è stata indicata dal WTO come miglior paese di destinazione di FDI. La crisi economica globale ha causato un rallentamento dei flussi di capitale estero,  che sono ripresi già negli anni successivi al 2009:  attualmente la Repubblica Popolare Cinese è il paese con il maggiore afflusso di FDI. Una tendenza più recente è invece rappresentata dagli investimenti cinesi all’estero: oggigiorno infatti la Cina non deve più essere considerata solamente come un mercato nel quale investire e sempre più imprese e individui cinesi sono pronti ad allocare le proprie risorse all’estero. Per attirare i capitali cinesi è tuttavia necessario creare un ambiente favorevole, caratterizzato da una burocrazia snella e normative chiare ed omogenee.

Normativa del lavoro

I rapporti di lavoro tra i dipendenti e il datore di lavoro sono disciplinati dal “Labour Law of the People’s Republic of China”. La Labour Law, entrata in vigore ne 1995, regola tutti gli aspetti che riguardano il lavoro dipendente, in particolare le condizioni di lavoro e le tutele previdenziali e sanitarie. Sulla base di quanto disposto, l’orario di lavoro non deve superare le 8 ore giornaliere e le 44 ore settimanali, con un giorno di riposo durante la settimana. Il dipendente ha diritto ad un equo compenso per il suo contributo lavorativo, che deve essere corrisposto mensilmente. Tale compenso non può essere inferiore al minimo stabilito a livello locale e deve essere parametrato sulla base delle mansioni, delle condizioni lavorative e della località in cui il lavoro viene prestato. Il sistema contributivo cinese è basato su cinque pilastri (pensione, assicurazione medica, infortunio sul lavoro, maternità, disoccupazione) a cui si aggiunge un ulteriore fondo che agevola l’acquisto di un alloggio. Sia il dipendente che il datore di lavoro devono contribuire, in diversa misura, in questi fondi, secondo importi basati sul salario ricevuto e le percentuali fissate a livello locale. (Dati aggiornati da Asian Development Bank per il 2016)

Investimenti in Cina - rischi e benefici

Sebbene la crescita non sia più sostenuta e a doppia cifra come nello scorso decennio, la Cina rimane una delle economie più vigorose e in crescita, posizionandosi in termini di PIL generato al secondo posto dietro agli Stati Uniti. Le più recenti stime del Fondo Monetario Internazionale prevedono tassi di crescita superiori al 6% annuo per i prossimi cinque anni. Il miglioramento economico ha permesso un cambiamento strutturale dei consumi e dei bisogni della popolazione: un aumento dei redditi e del benessere, unito ad una crescente urbanizzazione, ha portato alla nascita di nuove tendenze e modelli di consumo, in particolare di beni di lusso e alimentari. I vantaggi di investire in Cina sono:

Forte crescita economica. La Cina è uno dei Paesi a più elevata crescita economica e ciò crea un contesto stimolante per nuove attività imprenditoriali;
Un mercato composto da oltre un miliardo di potenziali consumatori, con una capacità di spesa crescente e con nuovi bisogni da soddisfare, come ad esempio prodotti di lusso e servizi;
Rete infrastrutturale d’eccellenza. Gran parte della spesa pubblica, sia a livello nazionale che locale, è stata indirizzata verso la costruzione di infrastrutture, fondamentali per poter proseguire nel percorso di crescita. Ingenti investimenti sono inoltre previsti nei prossimi anni, in particolare per lo sviluppo della rete “One Belt One Road”.

I rischi di investire in Cina senza un adeguato partner commerciale sono:

Sistema burocratico e amministrativo piuttosto complesso, che può variare anche tra località differenti;
Scarsa trasparenza e tutela della proprietà intellettuale, ambito nel quale la Cina tuttavia sta garantendo, recentemente, una più efficace tutela giudiziaria dei marchi stranieri storici, se correttamente registrati in loco;
Differenze culturali e nel modo di condurre le attività, che devono essere comprese dall’investitore straniero, con l'ausilio di una mediazione culturale.

Rapporti Italia - Cina

Nel 2016 il totale degli scambi commerciali tra Italia e Cina ha raggiunto un ammontare di oltre 38,4 miliardi di euro (in contrazione dello 0,6% rispetto ai 38,6 miliardi di euro del 2015). Il totale delle esportazioni italiane verso la Cina è stato pari a 11,1 miliardi di euro (+6,3% rispetto ai 10,4 miliardi del 2015), mentre le importazioni di prodotti cinesi in Italia ha 27,2 miliardi di euro (in riduzione del 3,1% rispetto ai 28,1 miliardi registrati nel 2015). Nel 2016 il deficit commerciale italiano si è ridotto dell’8,7% rispetto al 2015, attestandosi sui 16,2 miliardi di euro. Questi numeri mostrano l’interesse crescente che i prodotti italiani ricevono in Cina, ma anche il maggiore sforzo sostenuto dalle aziende italiane verso l’internalizzazione e l’ingresso in uno dei  più grandi mercati mondiali. Le energie rinnovabili, l’agroalimentare, l’urbanizzazione sostenibile, i servizi sanitari e l’aerospaziale sono campi su cui Italia e Cina possono investire, con la consapevolezza che le capacità tecnologiche e industriali italiane in questi settori possono rispondere appieno alle necessità derivanti dallo straordinario sviluppo cinese. Sulla base dei dati SACE, sono oltre 2.000 le società italiane operanti in Cina, che generano un volume di fatturato pari a 5 miliardi di USD l’anno. Il 90% degli investimenti italiani in Cina proviene da quattro regioni del Nord Italia: Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. La presenza commerciale dell’Italia in Cina continua tuttavia ad essere marginale se paragonata ad altri Paesi europei come Germania e Francia, dovuta principalmente ad una mancanza di una pianificazione comune in grado di facilitare l’ingresso sul mercato cinese. Attualmente la maggior parte dei prodotti italiani esportati verso la Cina proviene dal settore della meccanica (38,8 % del totale dell’export) e  manifatturiero (14,4%), in particolare beni di consumo di lusso (abbigliamento, gioielleria, alimentari, piastrelle) simbolo del Made in Italy. Un deciso incremento è stato segnato ultimamente anche nel settore auto (6,6%), arredamento (6,3%), prodotti chimici (6,2%), metallurgia e prodotti metallici (4,5%) ed elettronica (3,8%). Inoltre, poiché le autorità cinesi vogliono puntare su produzioni ad elevato valore aggiunto, prestando più attenzione ai contenuti tecnologici e al livello di impatto ambientale, la meccanica e i prodotti del Made in Italy potranno avere un ruolo importante e ampi margini di crescita. Anche il settore aerospaziale, seppure ancora marginale, sta in questi ultimi anni attraversando un periodo di crescita esponenziale che lo sta portando alla ribalta sul mercato cinese, sempre più interessato alla tecnologia sviluppata dai centri di ricerca e dalle agenzie italiane del settore.

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