春节快乐!
L’economia
cinese sembra, oggi, destinata a divenire la prima economia mondiale. La Cina,
negli ultimi trenta anni, ha vissuto un boom economico senza precedenti che ha
permesso al Paese non solo di aumentare il benessere economico di milioni di
cittadini cinesi ma di divenire un impresindibile interlocutore economico
mondiale, sia nell’economia mondiale che nella costante evoluzione dell’assetto
geopolitico mondiale.
Prodotto
Interno Lordo: 15.543.705 milioni di Dollari (USD)
Tasso
di crescita economica: +6.6 %
Inflazione:
2,00%
Disoccupazione:
4,1%
Popolazione
Totale: 1.403.500.365
Popolazione
Lavorativa: 705.860.000 (stima)
Tassazione:
Imprese 25% - Individuali dal 5% al 45%
Debito
Estero: 1.562.800 milioni di Dollari (USD)
L’ultimo
congresso del Partito Comunista Cinese ha rappresentato per l’attuale
Presidente Xi Jinping non solo un’occasione per rafforzare la propria
leadership all’interno del Partito, ma anche un eccezionale veicolo per
comunicare alle altre potenze mondiali l’obiettivo di portare la Cina al centro
delle trame politiche ed economiche globali. Progetti imponenti quali lo “One
Belt One Road”, hanno infatti il dichiarato obiettivo di fare della Cina il
punto di riferimento per le rotte commerciali terrestri e marittime e di
controllare i principali snodi commerciali. Negli ultimi trenta anni l’economia
cinese ha vissuto un vero e proprio boom economico, che ha permesso al Paese di
diventare la seconda economia mondiale, di aumentare il benessere economico e
di far uscire dalla povertà milioni di cittadini. L’apertura verso l’estero e
le riforme economiche e sociali intraprese a partire dalla fine degli anni ’70
hanno innescato un percorso di crescita costante e con tassi a doppia cifra:
nel 2016 il prodotto interno lordo cinese si è attestato sui 11.200 miliardi di
USD, secondo solamente a quello degli Stati Uniti e superiore a quello di
Giappone e Germania. Le riforme economiche promosse da Deng Xiaoping hanno
quindi trasformato un Paese con una forte componente agricola nel centro
manifatturiero del mondo. Lo sviluppo industriale ha successivamente innescato
la crescita del settore dei servizi, tanto che dal 2013 il settore terziario è
diventato il principale contribuente al PIL cinese. Nel 2016 il settore
terziario ha rappresentato circa il 51% del PIL, mentre il settore secondario e
primario contribuiscono rispettivamente per il 40% e il 9%.
La
Cina ha affrontato la crisi economica globale del 2008-2009 attraverso un pacchetto
di incentivi e stimoli economici volti a promuovere importanti progetti di
investimento in infrastrutture e in industrie ad elevata intensità di capitale,
e questo ha permesso di ridurre gli effetti negativi che hanno colpito gli
altri Paesi. Nel 2009, l’anno in cui la crisi globale ha colpito più duramente,
la Cina ha infatti conseguito una crescita del PIL pari al 9,2%, mentre le
altre principali potenze economiche hanno subito una importante contrazione.
La
crescita, stimolata a livello centrale, ha tuttavia destato qualche
preoccupazione in diversi analisti, che hanno evidenziato potenziali rischi di
bolla finanziaria e overcapacity degli stabilimenti produttivi nei settori
industriali in cui si concentrano le società a controllo statale. Dal punto di
vista del commercio estero, la Cina ha un significativo surplus della bilancia
commerciale: in quanto principale hub manifatturiero, la Cina è infatti il
principale paese esportatore al mondo, con un valore dell’export superiore a
2.000 miliardi di USD nel 2016, mentre le importazioni si sono assestate sui
1.500 miliardi di USD.
L’ingresso
nel WTO nel 2001 ha giovato enormemente alla Cina, in quanto ha permesso al
Paese di incrementare in maniera significativa gli scambi con l’estero: il
valore nominale delle esportazioni nei 15 anni successivi all’ingresso nella
WTO è cresciuto ad un tasso annuo medio composto che supera il 14%, mentre le
importazioni hanno registrato, nello stesso periodo, una crescita annua media
composta del 13%. Questi dati evidenziano lo stretto legame che la Cina ha
instaurato con i propri partner commerciali e di come il Paese abbia utilizzato
la leva commerciale per finalità politiche e strategiche: nell’ultimo decennio
tale strategia ha permesso alla Cina di diventare il principale partner
commerciale della maggior parte dei Paesi africani e di poter instaurare
nell’area la propria influenza. Con la finalità di sviluppare ulteriormente gli
scambi commerciali, la Cina ha siglato nel corso di anni una moltitudine di
accordi commerciali bilaterali e multilaterali, che hanno aperto nuovi mercati
in termini di prodotti. Nel 2003, la Cina ha firmato il Closer Economic
Partnership Arrangement con Hong Kong e Macao, mentre diversi Free Trade Agreement
(FTA) sono stati firmati con i Paesi dell’ASEAN, Australia, Cile, Costa Rica,
Corea, Peru, Nuova Zelanda e Singapore.
La
Cina presenta due vantaggi specifici che possono incentivare società e
imprenditori stranieri a investire in loco:
è il
centro manifatturiero per eccellenza;
è il
primo mercato per quanto riguarda il numero potenziale di consumatori.
Il
Governo cinese promuove e incoraggia investimenti stranieri nei settori
caratterizzati da elevata innovazione e con un basso impatto a livello
ambientale e sociale. Tra i settori più stimolati vi sono:
prodotti
ad elevata tecnologia;
attrezzature
e macchinari industriali ad alto grado di innovazione e energie rinnovabili
Settore
finanziario, bancario e assicurativo
Nel
mese di novembre 2017 è stata inoltre introdotta una novità relativa agli
investimenti stranieri nel settore finanziario e assicurativo, che rimuove i
precedenti limiti alle partecipazioni straniere in società di intermediazione
finanziaria, banche, società di gestone titoli e in quelle di assicurazione.
Incentivi
fiscali
Sono
previsti incentivi a livello fiscale ed aliquote d’imposta agevolate per le
iniziative imprenditoriali nelle regioni interne e occidentali della Cina, al
fine di promuovere e stimolare l’economia di tali aree che hanno beneficiato
del boom economico cinese in misura minore rispetto alle aree costiere. Le
aliquote agevolate sono inoltre previste per le società innovative e con una
forte componente tecnologica, che vengono riconosciute con un’apposita licenza
che certifica il loro status di high tech enterprise.
Export
La
Cina è il primo Paese per valore delle esportazioni, davanti a Stati Uniti,
Germania e Giappone. Nel 2016 il valore totale delle esportazioni è stato pari
a 2.100 miliardi di USD. I principali mercati di sbocco della produzione cinese
sono stati gli Stati Uniti, i quali hanno rappresentato circa il 18,4% del
totale delle esportazioni. A seguire Hong Kong (con circa il 13,7% delle
esportazioni totali) e Giappone (6,2%). I primi dieci mercati di sbocco per le
esportazioni cinesi hanno costituito insieme il 59% del totale delle
esportazioni cinesi del 2016.
I prodotti cinesi esportati sono principalmente legati al settore elettronico e manifatturiero. Nello specifico i maggiori prodotti esportati sono computer (6,6%), apparecchiature per la trasmissione dati (5,6%), telefonia (4,1%) e circuiti integrati (2,7%).
I prodotti cinesi esportati sono principalmente legati al settore elettronico e manifatturiero. Nello specifico i maggiori prodotti esportati sono computer (6,6%), apparecchiature per la trasmissione dati (5,6%), telefonia (4,1%) e circuiti integrati (2,7%).
Import
Il
valore delle importazioni cinesi nel 2016 è stato pari a 1.580 miliardi di USD.
I principali partner sono Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti, con quote pari
rispettivamente a 10%, 9,2% e 8,5%. La quota aggregata dei primi dieci è pari
al 56%; tale dato evidenzia una elevata diversificazione dell’origine dei
prodotti importati in Cina e sottolinea come molti Paesi stiano cercando di
entrare in uno dei principali mercati a livello globale. I prodotti importati
sono principalmente legati al settore elettronico, a quello petrolifero, della
plastica, dei metalli preziosi e dei materiali chimici. In particolare le
importazioni di circuiti integrati rappresentano il 9,7% del totale, seguiti da
petrolio (8,8%), oro (4,7%), minerali (4,4%) e automobili (3,3%).
Investimenti
esteri
Il
governo cinese ha incentivato gli investimenti diretti esteri (FDI foreign
direct investments) sin dall’apertura ai capitali stranieri verso la fine degli
anni ’70, in quanto sono stati uno strumento eccezionale per promuovere la
crescita e l’innovazione tecnologica. A differenza dei propri vicini come
Giappone, Corea del Sud e Taiwan, la Cina non ha potuto usufruire del supporto
tecnologico fornito dagli Stati Uniti e, di conseguenza, ha adottato un proprio
modello creando un ambiente molto favorevole agli investimenti stranieri: in
tal modo nel Paese sono convogliati non solo ingenti capitali, ma anche
tecnologia, know how e il management necessario per condurre la Cina alla
costruzione di un sistema economico in grado di competere con i vicini asiatici
e a livello globale. Il flusso di FDI
confluiti in Cina è aumentato costantemente; tra gli anni 2001 e 2003 la Cina è
stata indicata dal WTO come miglior paese di destinazione di FDI. La crisi
economica globale ha causato un rallentamento dei flussi di capitale
estero, che sono ripresi già negli anni
successivi al 2009: attualmente la
Repubblica Popolare Cinese è il paese con il maggiore afflusso di FDI. Una
tendenza più recente è invece rappresentata dagli investimenti cinesi
all’estero: oggigiorno infatti la Cina non deve più essere considerata
solamente come un mercato nel quale investire e sempre più imprese e individui
cinesi sono pronti ad allocare le proprie risorse all’estero. Per attirare i
capitali cinesi è tuttavia necessario creare un ambiente favorevole,
caratterizzato da una burocrazia snella e normative chiare ed omogenee.
Normativa
del lavoro
I
rapporti di lavoro tra i dipendenti e il datore di lavoro sono disciplinati dal
“Labour Law of the People’s Republic of China”. La Labour Law, entrata in
vigore ne 1995, regola tutti gli aspetti che riguardano il lavoro dipendente,
in particolare le condizioni di lavoro e le tutele previdenziali e sanitarie.
Sulla base di quanto disposto, l’orario di lavoro non deve superare le 8 ore
giornaliere e le 44 ore settimanali, con un giorno di riposo durante la
settimana. Il dipendente ha diritto ad un equo compenso per il suo contributo
lavorativo, che deve essere corrisposto mensilmente. Tale compenso non può
essere inferiore al minimo stabilito a livello locale e deve essere parametrato
sulla base delle mansioni, delle condizioni lavorative e della località in cui
il lavoro viene prestato. Il sistema contributivo cinese è basato su cinque
pilastri (pensione, assicurazione medica, infortunio sul lavoro, maternità,
disoccupazione) a cui si aggiunge un ulteriore fondo che agevola l’acquisto di
un alloggio. Sia il dipendente che il datore di lavoro devono contribuire, in
diversa misura, in questi fondi, secondo importi basati sul salario ricevuto e
le percentuali fissate a livello locale. (Dati aggiornati da Asian Development
Bank per il 2016)
Investimenti
in Cina - rischi e benefici
Sebbene
la crescita non sia più sostenuta e a doppia cifra come nello scorso decennio,
la Cina rimane una delle economie più vigorose e in crescita, posizionandosi in
termini di PIL generato al secondo posto dietro agli Stati Uniti. Le più
recenti stime del Fondo Monetario Internazionale prevedono tassi di crescita
superiori al 6% annuo per i prossimi cinque anni. Il miglioramento economico ha
permesso un cambiamento strutturale dei consumi e dei bisogni della
popolazione: un aumento dei redditi e del benessere, unito ad una crescente
urbanizzazione, ha portato alla nascita di nuove tendenze e modelli di consumo,
in particolare di beni di lusso e alimentari. I vantaggi di investire in Cina
sono:
Forte
crescita economica. La Cina è uno dei Paesi a più elevata crescita economica e
ciò crea un contesto stimolante per nuove attività imprenditoriali;
Un
mercato composto da oltre un miliardo di potenziali consumatori, con una
capacità di spesa crescente e con nuovi bisogni da soddisfare, come ad esempio
prodotti di lusso e servizi;
Rete
infrastrutturale d’eccellenza. Gran parte della spesa pubblica, sia a livello
nazionale che locale, è stata indirizzata verso la costruzione di
infrastrutture, fondamentali per poter proseguire nel percorso di crescita.
Ingenti investimenti sono inoltre previsti nei prossimi anni, in particolare
per lo sviluppo della rete “One Belt One Road”.
I
rischi di investire in Cina senza un adeguato partner commerciale sono:
Sistema
burocratico e amministrativo piuttosto complesso, che può variare anche tra
località differenti;
Scarsa
trasparenza e tutela della proprietà intellettuale, ambito nel quale la Cina tuttavia sta garantendo, recentemente, una più efficace tutela giudiziaria dei marchi stranieri storici, se correttamente registrati in loco;
Differenze
culturali e nel modo di condurre le attività, che devono essere comprese
dall’investitore straniero, con l'ausilio di una mediazione culturale.
Rapporti
Italia - Cina
Nel
2016 il totale degli scambi commerciali tra Italia e Cina ha raggiunto un
ammontare di oltre 38,4 miliardi di euro (in contrazione dello 0,6% rispetto ai
38,6 miliardi di euro del 2015). Il totale delle esportazioni italiane verso la
Cina è stato pari a 11,1 miliardi di euro (+6,3% rispetto ai 10,4 miliardi del
2015), mentre le importazioni di prodotti cinesi in Italia ha 27,2 miliardi di
euro (in riduzione del 3,1% rispetto ai 28,1 miliardi registrati nel 2015). Nel
2016 il deficit commerciale italiano si è ridotto dell’8,7% rispetto al 2015,
attestandosi sui 16,2 miliardi di euro. Questi numeri mostrano l’interesse
crescente che i prodotti italiani ricevono in Cina, ma anche il maggiore sforzo
sostenuto dalle aziende italiane verso l’internalizzazione e l’ingresso in uno
dei più grandi mercati mondiali. Le
energie rinnovabili, l’agroalimentare, l’urbanizzazione sostenibile, i servizi
sanitari e l’aerospaziale sono campi su cui Italia e Cina possono investire,
con la consapevolezza che le capacità tecnologiche e industriali italiane in
questi settori possono rispondere appieno alle necessità derivanti dallo
straordinario sviluppo cinese. Sulla base dei dati SACE, sono oltre 2.000 le
società italiane operanti in Cina, che generano un volume di fatturato pari a 5
miliardi di USD l’anno. Il 90% degli investimenti italiani in Cina proviene da
quattro regioni del Nord Italia: Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
La presenza commerciale dell’Italia in Cina continua tuttavia ad essere
marginale se paragonata ad altri Paesi europei come Germania e Francia, dovuta
principalmente ad una mancanza di una pianificazione comune in grado di
facilitare l’ingresso sul mercato cinese. Attualmente la maggior parte dei
prodotti italiani esportati verso la Cina proviene dal settore della meccanica
(38,8 % del totale dell’export) e
manifatturiero (14,4%), in particolare beni di consumo di lusso
(abbigliamento, gioielleria, alimentari, piastrelle) simbolo del Made in Italy.
Un deciso incremento è stato segnato ultimamente anche nel settore auto (6,6%),
arredamento (6,3%), prodotti chimici (6,2%), metallurgia e prodotti metallici
(4,5%) ed elettronica (3,8%). Inoltre, poiché le autorità cinesi vogliono
puntare su produzioni ad elevato valore aggiunto, prestando più attenzione ai
contenuti tecnologici e al livello di impatto ambientale, la meccanica e i
prodotti del Made in Italy potranno avere un ruolo importante e ampi margini di
crescita. Anche il settore aerospaziale, seppure ancora marginale, sta in
questi ultimi anni attraversando un periodo di crescita esponenziale che lo sta
portando alla ribalta sul mercato cinese, sempre più interessato alla
tecnologia sviluppata dai centri di ricerca e dalle agenzie italiane del
settore.
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